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IGI POSEIDON: VERSO UN RITORNO AL SOUTH STREAM?

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Giuseppe Cappelluti

 

L’Interconnettore[1] Turchia–Grecia–Italia (ITGI) è un progetto di gasdotto che collegherà la Turchia con l’Italia attraverso la Grecia. La condotta, dalla capacità di 15 miliardi di metri cubi l’anno, è divisa in due tronconi: l’Interconnettore Turchia–Grecia, dalla portata di 11,5 miliardi di metri cubi, e l’Interconnettore Grecia–Italia, con una capacità di 12 miliardi di metri di cubi. Quest’ultimo, a sua volta, si comporrà di un tratto terrestre (IGI Onshore), lungo 600 chilometri e interamente in territorio greco, e da uno offshore (IGI Poseidon), lungo 200 chilometri, che dalla costa greca del Mar Jonio giungerà al porto pugliese di Otranto. Il primo troncone, quello tra Turchia e Grecia, è stato inaugurato nel 2007; il secondo tratto è in parte ancora allo stadio di progetto, ma ha ottenuto tutte le autorizzazioni necessarie e gode dello status di Progetto di Interesse Europeo in quanto parte di quel Corridoio Sud voluto dall’Unione Europea per gli approvvigionamenti di gas dell’Europa Sudorientale[2]. La proprietà del gasdotto è divisa tra Edison e DEPA, la società greca del gas, ciascuno con una quota del 50%[3].

L’ITGI, il cui bacino collettore include il Mar Nero, il Caspio e il Medio Oriente, può essere utilizzato anche per le forniture dalla Russia, trasportabili in Turchia attraverso il Blue Stream. Il sostegno comunitario alla condotta, però, è legato alla politica di diversificazione delle fonti di approvvigionamento di gas portata avanti da Bruxelles, uno dei cui fini è limitare – o comunque non aumentare – il peso delle esportazioni di gas dalla Russia. Inizialmente, quindi, il gasdotto era orientato soprattutto verso l’Azerbaigian, il Medio Oriente (Iran e Iraq) e i Paesi dell’Asia Centrale (attraverso il Gasdotto Transcaspico). Tuttavia le importazioni da Iran e Iraq erano ostacolate da questioni di natura tecnica e politica[4], mentre la costruzione del Gasdotto Transcaspico è da sempre bloccata dalla ferma opposizione di Russia ed Iran; all’ITGI, quindi, non restava che Baku. Le trattative con l’Azerbaigian sono state fruttuose: nell’agosto del 2007, infatti, il Paese ha firmato con la Grecia un protocollo d’intesa per l’utilizzo della condotta per l’esportazione del gas azero dei giacimenti di Shah Deniz II, seguito qualche mese dopo da un analogo accordo con l’Italia. Nel giugno del 2010 questi accordi sono stati ulteriormente rafforzati da un nuovo memorandum d’intesa sulle modalità di trasporto del gas azero per mezzo di ITGI[5]. L’interesse per il gasdotto sarebbe ulteriormente cresciuto con la proposta dell’Interconnettore Grecia-Bulgaria (IGB). L’IGB, dalla portata di 3-5 miliardi di metri cubi di gas all’anno, collegherà Komotini, importante centro della Tracia occidentale, alla città bulgara di Stara Zagora, e se realizzato consentirà anche alla Bulgaria di ricevere il gas azero[6].

Negli ultimi anni l’ITGI sembrava essere finito nell’ombra: i soci di maggioranza del consorzio di Shah Deniz II, BP e la norvegese Statoil, gli avevano preferito il TAP, e questo aveva portato al congelamento di un progetto che pure aveva le carte in regola. A seguito del lancio del Turkish Stream, però, alcuni esperti lo hanno riesumato, ritenendolo uno strumento per consentire la partecipazione dell’Italia al gasdotto russo-turco[7]. Un passo in avanti in questa direzione si è avuto col progetto Tesla (dal nome di un celebre fisico serbo, nda), un gasdotto che, partendo da İpsala, cittadina al confine tra Turchia e Grecia nonché punto di arrivo del Turkish Stream, avrebbe dovuto servire sia l’Italia sia l’intera Penisola Balcanica[8]. Né l’IGI né Tesla vedono la partecipazione diretta di Gazprom, e ciò avrebbe evitato al colosso energetico russo di incappare nel Terzo Pacchetto Energetico, una direttiva comunitaria che impone sia la separazione tra proprietà e utilizzo del gasdotto, sia, salvo esenzione, il libero accesso alle condutture da parte di terzi (nel Tesla ci sarebbe stato posto anche per il gas azero). L’abbattimento di un caccia russo il 24 novembre scorso e la conseguente sospensione del Turkish Stream, tuttavia, sembravano aver definitivamente sepolto l’ITGI: alla Russia, che dopo aver rinunciato all’opzione bulgara aveva perso anche quella turca, sembrava essere rimasta soltanto la rotta settentrionale, quella attraverso il Mar Baltico.

Ma, come ha dimostrato qualche mese fa il Nord Stream 2, in questo settore i colpi di scena non mancano mai. E così il 24 febbraio del 2016 l’IGI Poseidon e il South Stream / Turkish Stream sono tornati alla ribalta grazie al memorandum d’intesa firmato a Roma da Gazprom, Edison e DEPA per il trasporto del gas. Oggetto dell’accordo è il gas russo da importare in Grecia mediante un non meglio precisato gasdotto da costruirsi sul fondo del Mar Nero. Alla cerimonia, accanto ai capi delle tre società, hanno partecipato anche il Ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi, il Presidente dell’ENI Claudio Descalzi e il Ministro degli Esteri greco Giorgios Tsipras[9]. Il progetto, con ogni probabilità, non mancherà di suscitare contestazioni, e non solo da parte degli ambientalisti pugliesi che non vedono di buon occhio la presenza di ben due approdi di gasdotti in un tratto di costa lungo pochi chilometri. La stessa Federica Guidi, in previsione di queste polemiche, ha tenuto subito a precisare che il progetto è “imprenditoriale” e non politico, sottolineando di non essere una parte nella stipula del memorandum e che il gasdotto verrà realizzato in ossequio ai regolamenti comunitari[10]; ma è difficile che tale affermazione basti a placare l’ira di Polonia, Ucraina e Repubbliche Baltiche, già sul piede di guerra per il Nord Stream 2, e il disappunto degli Stati Uniti, che temono una rottura di un fronte antirusso che, sia pure con forti distinguo, è rimasto sostanzialmente unito.

IGI Poseidon, infatti, avrà una forte valenza strategica. Come e ancor più del Nord Stream 2, il gasdotto attraverso il Mar Nero che rifornirà IGI Poseidon consentirà alla Russia di raggiungere due dei suoi principali obiettivi geopolitici: eliminare, o comunque ridurre al minimo, il ruolo dell’Ucraina come Paese di transito[11], e acquisire una maggiore influenza sull’area balcanico-danubiana e magari sull’Italia. Anche per cautelarsi da questa prospettiva, la Commissione Europea ha agito in modo proattivo, varando il 16 febbraio scorso una decisione che, se approvata, introdurrà l’obbligo di notifica per i contratti sul gas che pesano per una quota superiore al 40% del fabbisogno complessivo del Paese firmatario[12]. In base a questa decisione, poi, la Commissione potrà porre un veto sui nuovi contratti qualora negli stessi fossero presenti clausole giudicate anticoncorrenziali; un punto fortemente voluto da Varsavia e non troppo implicitamente diretto contro Mosca[13]. A rischio, infatti, sono i contratti firmati tra Gazprom e alcuni Paesi della Nuova Europa, molti dei quali utilizzano esclusivamente il gas russo, e in misura minore lo stesso Nord Stream 2, che consentirà a Gazprom di superare anche in Germania la fatidica soglia del 40%.

Il nuovo gasdotto, però, ha buone probabilità di essere realizzato. Per la nuova condotta, infatti, il colosso russo del gas sta seguendo una strategia simile a quella adottata per il Turkish Stream, consistente nell’utilizzo di gasdotti di sua proprietà fino ai confini orientali dell’Unione Europea, una volta superati i quali si appoggerà ad altri esistenti o comunque già approvati, come l’IGI, o promuoverà la costruzione di nuove condotte senza però diventarne azionista (vedi Tesla). Ciò consentirà a Gazprom di bypassare il Terzo Pacchetto Energetico. A tutto ciò si aggiunge il ruolo della politica del compromesso. Come il Nord Stream 2, anche l’ITGI consentirà di trovare un punto di incontro tra gli interessi di una comunità imprenditoriale che non vuole rinunciare agli affari con la Russia e le necessità della politica internazionale che impongono la fedeltà alla linea adottata da Stati Uniti e UE sulla questione delle sanzioni (mantenimento della seconda e della terza tornata di sanzioni, che includono anche quelle economiche, fino alla completa esecuzione dei punti degli Accordi di Minsk). È possibile, poi, che il nuovo gasdotto sia parte di una sorta di do ut des con la Germania, con quest’ultima che accetterà tacitamente la costruzione dello stesso in cambio della non opposizione dell’Italia e dei Paesi balcanici al Nord Stream 2, fortemente voluto dalla Merkel ma duramente avversato non solo dai Paesi della Russophobic belt, ma anche dall’Italia e da alcuni Paesi dell’area balcanico-danubiana, ancora delusi per la mancata costruzione del South Stream.

Resta però da capire quale approdo sceglierà Gazprom. Le possibilità sono essenzialmente due: la Bulgaria e la Turchia. La Bulgaria, come è noto, sarebbe dovuta essere il Paese d’approdo del South Stream, ed è rimasta un’opzione anche dopo il lancio del Turkish Stream: già nell’ottobre del 2015, quando il Turkish Stream era in una fase di stallo ma la crisi russo-turca era ancora lontana, le trattative per il South Stream sono riprese per iniziativa di Sofia[14]. Nelle ultime settimane, poi, tanto la Russia quanto l’UE hanno più volte parlato di una possibile ripresa dei colloqui per il gasdotto, interrotte nel dicembre del 2014: Vladimir Čižov, Rappresentante della Russia presso l’UE, ha sottolineato come la domanda europea di gas sia destinata ad aumentare sul lungo periodo, mentre la Commissione Europea ha più volte dichiarato di essere pronta a riprendere le trattative per il South Stream a condizione che questo adempia al Terzo Pacchetto Energetico[15]. La Russia, prima col Tesla e ora con l’IGI Poseidon, ha già dato prova di sapersi destreggiare con agilità attraverso i suoi vincoli, e in più una parte delle infrastrutture necessarie per quest’ultimo sono già state realizzate. Ufficialmente, però, la Bulgaria resta ancora fuori dal progetto: il 3 febbraio scorso, infatti, una mozione del partito di estrema destra Ataka per chiedere al governo di Sofia la ripresa delle trattative per il South Stream è stata rigettata per 65 voti a 27[16].

La seconda è l’opzione turca. Come ben sappiamo, l’abbattimento del Suchoj SU-24 dello scorso 24 novembre ha determinato il brusco peggioramento di quella che fino a qualche mese fa sembrava una promettente relazione economica, portando al ritorno della storica rivalità russo-turca. Eppure, malgrado una riconciliazione sia ancora lontana, e anche i più ottimisti ritengono che un ritorno allo status quo precedente quell’infausto 24 novembre sia tutt’altro che scontato, la via turca non è mai stata ufficialmente abbandonata. Lo stesso Putin, il 17 dicembre del 2015, ha dichiarato che il Turkish Stream potrà essere realizzato qualora la Commissione Europea fornisca delle garanzie adeguate[17]. Agli inizi di febbraio, poi, un accademico turco ha dichiarato che, qualora la Russia volesse tornare al tavolo delle trattative, la Turchia sarebbe pronta a fare lo stesso[18], e le sue dichiarazioni sono state seguite, a distanza di qualche giorno, da quelle di Andrej Karlov, Ambasciatore russo ad Ankara, che pur puntando il dito contro lo scarso impegno turco ha dichiarato che “la Russia non ha abbandonato il progetto”, sottolineando come il tutto dipenda dalla normalizzazione dei rapporti bilaterali tra Russia e Turchia[19]. Il limite più grande, secondo l’esperta di energia lituana Agnia Grigas, non è costituito dalla politica, bensì dai finanziamenti: il progetto, infatti, è piuttosto costoso, e reperire i fondi necessari in un periodo di sanzioni e di bassi prezzi petroliferi può essere piuttosto ostico[20]. Si noti, infine, che il mancato riconoscimento dell’annessione russa della Crimea da parte dei Paesi europei obbliga la Russia a cercare un accordo con Ankara per il transito del nuovo gasdotto attraverso la sua zona economica esclusiva. Tutti elementi che lasciano intendere l’esistenza di trattative almeno informali, sebbene al momento sia alquanto difficile prevedere se i prossimi mesi ci regaleranno un altro colpo di scena.

 

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[1] L’interconnettore è una condotta che consente di mettere in comunicazione le reti di due Paesi diversi, normalmente separate.

[2] http://www.edison.it/it/gasdotto-itgi

[3] http://www.igi-poseidon.com/english/building.asp

[4] In un contesto in cui l’Iran è stato per anni affetto dalle sanzioni internazionali, che tra le tante cose vietano le esportazioni di idrocarburi e la vendita di tecnologie utilizzabili per la loro estrazione e il loro trasporto, il Paese necessita di investimenti per oltre 100 miliardi di dollari prima di diventare un competitor sul mercato internazionale; e ciò, chiaramente, è possibile soltanto sul lungo periodo. L’Iraq, dal canto suo, è come noto ostaggio di una difficile situazione politica.

[5] http://www.edison.it/it/gasdotto-itgi

[6] http://www.edison.it/sites/default/files/documenti/press-release4march2010-2%20(1).pdf

[7] N. Simonija, Sicurezza energetica dell’UE e ruolo della Russia, Conoscere Eurasia Edizioni, Verona 2015, p. 37.

[8] http://www.vestikavkaza.ru/news/Turetskiy-potok-v-Evrope-prodolzhit-gazoprovod-Tesla.html

[9] http://www.vestifinance.ru/articles/67860

[10] http://www.staffettaonline.com/articolo.aspx?ID=259819

[11] Se il South Stream / Turkish Stream non dovesse essere realizzato, le forniture per i Balcani e una parte di quelle per la Turchia continuerebbero a transitare attraverso l’Ucraina, anche in caso di realizzazione del Nord Stream 2.

[12] https://www.euractiv.com/section/europe-s-east/interview/sefcovic-nord-stream-is-not-in-conformity-with-the-energy-union-s-goals/

[13] http://www.ft.com/intl/cms/s/0/343d6e26-cf1b-11e5-986a-62c79fcbcead.html#axzz41ldlIX1y

[14] https://www.vedomosti.ru/business/articles/2016/02/25/631330-gazprom-gaza-evropu

[15] https://www.rt.com/business/331995-south-stream-renewal-conditions/

[16] http://www.vz.ru/news/2016/2/3/792175.html

[17] http://tass.ru/en/politics/845011

[18] http://en.trend.az/world/turkey/2488646.html

[19] http://en.trend.az/world/turkey/2491899.html

[20] http://en.trend.az/business/energy/2490248.html

 

 

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